Willy Van Lysebeth, « l’enfant terrible » dello yoga, è uno dei maggiori esponenti della disciplina in Europa. Psicanalista, è l'erede della saggezza spirituale di suo padre André, pioniere dello yoga negli Anni 60. Willy è stato immerso fin dall’infanzia nell’atmosfera familiare fatta di asana, mudrā, bandha, Om, conversazioni degli swami e dei sannyasin provenienti dall’India che venivano a soggiornare nella casa di André Van Lysebeth a Bruxelles, in quel periodo vera e propria capitale dello yoga. La gioia e la creatività che Willy ha nel trasmettere le conoscenze, provengono dalla sua esperienza personale e rappresentano la continuità con la trasmissione e l’insegnamento di suo padre.
- Willy, quello che emerge nel tuo insegnamento è la vitalità, la poliedricità e soprattutto la gioia di vivere che erano anche di tuo padre. Com'era la vita a casa Van Lysebeth?
WVL: «Un esempio: per tutto il 1950, uno yogi ha vissuto a casa da noi. Faceva yoga con papà. A volte potevo giocare con loro. Ad esempio: quando papà faceva uḍḍiyāna bandha, mi divertivo a spingere la testa nello stomaco. Lo yogi cantava il Gāyatri. L'ho memorizzato e spesso lo recitavo. Papà lo aveva anche registrato, ma al momento non c'era ancora nessun registratore. Avevamo di questo un disco in vinile a 78 giri».
- Tra il 1950 e il 1958 tuo padre fece nascere la tipografia...
WVL: «Anche in quel periodo giocavo a fare āsana. Poi poco dopo, papà ha iniziato a insegnare yoga, teneva lezioni e dimostrazioni. Io assistevo. A volte per mostrare quanto fossero facili questi esercizi, chiedeva a me di praticare Nauli. Questo è stato anche il momento nel quale è cominciata l’attività della tipografia. Noi figli più grandi aiutavamo papà assemblando i lavori stampati. Non avevamo un posto dove mettere i lavori, ma papà ebbe un’idea: inchiodare le assi in una cassa per le arance posta verticalmente. E qui potemmo facilmente assemblare i documenti. A quel tempo, la domenica mattina, accompagnavo papà che pubblicizzava la nascita della tipografia porta a porta nelle cassette postali del quartiere».
- E durante l'adolescenza cosa è cambiato?
WVL: «D’estate facevo yoga assieme a papà in giardino. Facevamo anche “sport insieme”, correvamo 30 minuti nel bosco. Papà sottolineava l’importanza del respirare tra gli abeti (dopo la tempesta emanano un’elevata quantità di ossigeno). Poi sperimentavamo varie modalità di movimento: strisciare senza camicia (sulla schiena) nell'erba bagnata dalla rugiada dell'alba. I nostri “giochi-esercizi” derivavano dall’applicazione dell’hébertismo (una filosofia di vita sviluppata da Georges Hébert all'inizio del Novecento basata sul Metodo maturale di educazione e focalizzata sull'ottenimento di uno «sviluppo fisico completo attraverso un ritorno ragionato alle condizioni naturali di vita, ndr). Bevevamo poi bicchieri d'acqua precedentemente “prana-ised” (ovvero versati da un bicchiere all’altro più volte alla luce del sole, ndr). A partire dai 17 anni mi sono dedicato molto alla meditazione (a volte con papà). In quel periodo sono anche rimasto molto affascinato dalle sue dimostrazioni d’ipnosi».
- Avete mai insegnato assieme?
WVL: «Nel 1971, papà è stato invitato in Canada e mi ha chiesto di essere il suo “assistente”. Siamo andati lì diverse estati insieme. Successivamente, abbiamo co-animato alcuni weekend a Beirut. E, più nello specifico, approfondimenti sul Tantra a Beirut, Firenze e Parigi.
È importante ricordare che dal 1973 al 1981 sono stato insegnante al Van Lysebeth Institute, fondato da Denise Van Lysebeth e da papà, tenendo lì 22 ore di lezione a settimana. Papà mi ha fatto la sorpresa più volte di pubblicare uno o un’altro dei miei testi nella rivista «Yoga», per esempio sulle Tecniche di meditazione, (Yoga, 142, Bruxelles, 1976, pp. 3-16), “Thinking the Void»”, (Pensare il vuoto, Yoga, 284, Bruxelles, 1999, pp. 35-38) o “Dall'esperienza sensoriale alla spiritualità”, (Yoga, Bruxelles, 291, 2001, pp. 7-18)».
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