Mentre il mondo della natura è armonico l’essere umano no. La natura è silenziosa, ha i suoi ritmi legati al succedersi delle stagioni, al ritmo delle maree, alle condizioni atmosferiche.
L’essere umano avrebbe la possibilità di far vivere questi ritmi all’interno di di se, ma i processi mentali legati all’ego lo allontanano dall’essere espressione della natura.
Le nostre azioni sono dettate quasi sempre dalla logica acquisitiva, ci sembra impossibile nella vita svolgere un’azione senza pensare al risultato. Ed ecco nascere la civiltà dell’onnipotenza al di là del limite di ogni misura umana, abbiamo perso la saggezza antica dove esisteva la consapevolezza della caducità della vita. Voler acquisire, possedere è sinonimo di libertà e spesso nella nostra società è considerato libero chi è ricco economicamente.
Ma queste condizioni di vita ci hanno portato ad allontanarci sempre piu’ dalla sensorialità rispetto all’uomo che viveva immerso nella natura, la sensorialità dell’uomo contemporaneo è pressoché inesistente. Il cammino verso la realizzazione dovrebbe partire necessariamente da un lavoro sul corpo per risvegliare l’energia nascosta al suo interno. La capacità di sentire diverrà allora più vigile e saremo in grado di percepire meglio ogni manifestazione che vive all’interno di noi.
Spesso il corpo è bloccato in degli schemi corporei che sono soprattutto mentali, irrigidito in atteggiamenti e comportamenti ripetitivi, tutto ciò non può condurre l’individuo alla libertà, crediamo di essere liberi ma non lo siamo.
Può l’essere umano assaporare la libertà? Ecco, capovolgiamo il modo di vedere le cose.
Nei testi antichi dello yoga era già tutto scritto. Lo yoga non è gioco, non è divertimento, non è mettere una maschera facendo finta che tutto vada bene, non è un passatempo, lo yoga è la porta verso la libertà. La libertà per uno yogin non è buttarsi col deltaplano dalle montagne dell’Himalaya, non è fare tutto quello che si vuole nella vita, i limiti fanno parte della caducità della nostra realtà esistenziale. Per lo yogin la libertà ha a che fare con la coscienza.
In āsana il rituale dello yoga, l’azione deve essere libera da proiezioni mentali e allora sarà un’azione pura. Quindi essere nel centro, con la coscienza presente non solo al corpo e non solo alla mente. Non basta in questo caso avere consapevolezza della contrazione e del rilassamento, occorre intervenire sul mentale. Gli āsana infatti non sono solo fisici, sono anche mentali, nella pratica di āsana affiorano sensazioni, pensieri, emozioni provenienti dal nostro inconscio o frutto delle nostre impressioni mentali, queste sensazioni non vanno represse ma purificate ed affinate. Per intervenire sulle emozioni dobbiamo considerare corpo e mente uniti, il corpo è immobile, un’immobilita senza rigidità, un’immobilita del corpo ma anche un’immobilita della mente che non è
assoggettata ai processi mentali abitudinari legati all’acquisizione di benefici, salutistici o di abilità nella forma. In āsana la presa della posizione sarà guidata dagli yama nel trovare la forma del corpo che possa garantire un’immobilita prolungata nel tempo senza sforzo e senza tensione, osservando senza criticare i limiti o le prerogative del corpo nella propria verità, e allora il corpo si manifesta nella sua totalità e nella sua piena espressione, senza voler trattenere il vissuto e le sensazioni che continuano a scorrere come nuvole nel cielo e assaporando tutte le componenti sottili del momento presente che si manifesta nella sua totalità, tutto ci ricorda che siamo parte della totalità nella quale siamo immersi (Antonio Nuzzo, I Doni dello yoga, Morellini editore).
È in questo momento che lo yogi comincia ad assaporare la libertà, prerogativa non dell’uomo comune assoggettato alle leggi della vita ordinaria e alle logiche acquisitive. Il corpo diventa uno strumento di evoluzione della coscienza e non un limite perché lo yogin
attraverso il corpo in un primo momento con l’ascolto delle sensazioni forti e grossolane e poi man mano nell’immobilita con l’ascolto delle sensazioni sempre più sottili trascende il corpo e tutte le limitazioni legate alla forma, e alla logica abitudinaria scompaiono. Lo Yogin contatta la realtà esistenziale del mondo della natura e lega i propri ritmi a quelli dell’universo. La forma non esiste più, esiste il respiro, le sottili sensazioni diffuse in tutto il corpo, la posizione si rivela e manifesta la propria energia.
Un corpo contratto è un corpo che ha paura, un corpo in cui prevale l’ego, ma un corpo nel quale l’energia è libera di fluire e circolare liberamente è predisposto per la via della liberazione.
L’āsāna così tenuto a lungo nel tempo, senza sforzo, in modo stabile e confortevole, guidata dall’azione del respiro e dall’intenzione giusta con gli yama e niyama può portare indirettamente lo yogin a contattare uno spazio dove la mente si va a fissare stabilmente
solo sull’ascolto sottile del corpo liberandosi dal movimento continuo delle vṛtti. L’azione che nasce dal silenzio è un’azione prodotta da un processo creativo. L’individuo ha bisogno di liberarsi dalle vṛtti ed entrare nel silenzio per dare spazio alla dimensione
creativa libera dalle influenze del passato.
Quindi anche in āsana potrebbe nascere l’ekāgratā, quello stato nel quale la mente si fissa su un punto e per il ricercatore ekāgratā diventa il proprio corpo. Il corpo considerato impuro per molte vie spirituali diviene così per lo haṭha-yogin uno strumento di evoluzione coscienziale.
umano no. La natura è silenziosa, ha i suoi ritmi legati al succedersi delle stagioni, al ritmo delle maree, alle condizioni atmosferiche. L’essere umano avrebbe la possibilità di far vivere questi ritmi all’interno di di se, ma i processi mentali legati all’ego lo allontanano dall’essere espressione della natura. Le nostre azioni sono dettate quasi sempre dalla logica acquisitiva, ci sembra impossibile nella vita svolgere un’azione senza pensare al risultato. Ed ecco nascere la civiltà dell’onnipotenza al di là del limite di ogni misura umana, abbiamo perso la saggezza antica dove esisteva la consapevolezza della caducità della vita. Voler acquisire, possedere è sinonimo di libertà e spesso nella nostra società è considerato libero chi è ricco economicamente. Ma queste condizioni di vita ci hanno portato ad allontanarci sempre piu’ dalla sensorialità rispetto all’uomo che viveva immerso nella natura, la sensorialità dell’uomo contemporaneo è pressoché inesistente. Il cammino verso la realizzazione dovrebbe partire necessariamente da un lavoro sul corpo per risvegliare l’energia nascosta al suo interno. La capacità di sentire diverrà allora più vigile e saremo in grado di percepire meglio ogni manifestazione che vive all’interno di noi. Spesso il corpo è bloccato in degli schemi corporei che sono soprattutto mentali, irrigidito in atteggiamenti e comportamenti ripetitivi, tutto ciò non può condurre l’individuo alla libertà, crediamo di essere liberi ma non lo siamo.
Può l’essere umano assaporare la libertà? Ecco, capovolgiamo il modo di vedere le cose.
Nei testi antichi dello yoga era già tutto scritto. Lo yoga non è gioco, non è divertimento, non è mettere una maschera facendo finta che tutto vada bene, non è un passatempo, lo yoga è la porta verso la libertà. La libertà per uno yogin non è buttarsi col deltaplano dalle montagne dell’Himalaya, non è fare tutto quello che si vuole nella vita, i limiti fanno parte della caducità della nostra realtà esistenziale. Per lo yogin la libertà ha a che fare con la coscienza.
In āsana il rituale dello yoga, l’azione deve essere libera da proiezioni mentali e allora sarà un’azione pura. Quindi essere nel centro, con la coscienza presente non solo al corpo e non solo alla mente. Non basta in questo caso avere consapevolezza della contrazione e del rilassamento, occorre intervenire sul mentale. Gli āsana infatti non sono solo fisici, sono anche mentali, nella pratica di āsana affiorano sensazioni, pensieri, emozioni provenienti dal nostro inconscio o frutto delle nostre impressioni mentali, queste sensazioni non vanno represse ma purificate ed affinate. Per intervenire sulle emozioni dobbiamo considerare corpo e mente uniti, il corpo è immobile, un’immobilita senza rigidità, un’immobilita del corpo ma anche un’immobilita della mente che non è assoggettata ai processi mentali abitudinari legati all’acquisizione di benefici, salutistici o di abilità nella forma. In āsana la presa della posizione sarà guidata dagli yama nel trovare la forma del corpo che possa garantire un’immobilita prolungata nel tempo senza sforzo e senza tensione, osservando senza criticare i limiti o le prerogative del corpo nella propria verità, e allora il corpo si manifesta nella sua totalità e nella sua piena espressione, senza voler trattenere il vissuto e le sensazioni che continuano a scorrere come nuvole nel cielo e assaporando tutte le componenti sottili del momento presente che si manifesta nella sua totalità, tutto ci ricorda che siamo parte della totalità nella quale siamo immersi (Antonio Nuzzo, I Doni dello yoga, Morellini editore).
È in questo momento che lo yogi comincia ad assaporare la libertà, prerogativa non dell’uomo comune assoggettato alle leggi della vita ordinaria e alle logiche acquisitive. Il corpo diventa uno strumento di evoluzione della coscienza e non un limite perché lo yogin attraverso il corpo in un primo momento con l’ascolto delle sensazioni forti e grossolane e poi man mano nell’immobilita con l’ascolto delle sensazioni sempre più sottili trascende il corpo e tutte le limitazioni legate alla forma, e alla logica abitudinaria scompaiono. Lo Yogin contatta la realtà esistenziale del mondo della natura e lega i propri ritmi a quelli dell’universo. La forma non esiste più, esiste il respiro, le sottili sensazioni diffuse in tutto il corpo, la posizione si rivela e manifesta la propria energia.
Un corpo contratto è un corpo che ha paura, un corpo in cui prevale l’ego, ma un corpo nel quale l’energia è libera di fluire e circolare liberamente è predisposto per la via della liberazione. L’āsāna così tenuto a lungo nel tempo, senza sforzo, in modo stabile e confortevole, guidata dall’azione del respiro e dall’intenzione giusta con gli yama e niyama può portare indirettamente lo yogin a contattare uno spazio dove la mente si va a fissare stabilmente solo sull’ascolto sottile del corpo liberandosi dal movimento continuo delle vṛtti. L’azione che nasce dal silenzio è un’azione prodotta da un processo creativo.
L’individuo ha bisogno di liberarsi dalle vṛtti ed entrare nel silenzio per dare spazio alla dimensione creativa libera dalle influenze del passato.
Quindi anche in āsana potrebbe nascere l’ekāgratā, quello stato nel quale la mente si fissa su un punto e per il ricercatore ekāgratā diventa il proprio corpo. Il corpo considerato impuro per molte vie spirituali diviene così per lo haṭha-yogin uno strumento di evoluzione coscienziale.
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